Maria Giovanna Bernabei, artista

Testi Di Sara Butera-

Mi chiamo Maria Giovanna e, da quando ho memoria, sono un’artista.

Quand’ero piccola non c’era la possibilità di avere tanta carta, perlomeno non come ora che se ne fa anche spreco; spesso, la mamma mi regalava quella che avvolgeva il pane, ed io disegnavo con una matita recuperata.

Riprendevo ciò che vedevo dalla finestra, oppure gli animali di casa.

Avrei voluto frequentare il liceo artistico… eppure non ne ho avuto la possibilità.

Certo, ho studiato tanto da autodidatta; per un certo periodo ho anche spedito i miei dipinti a Brera: gli insegnanti li correggevano a distanza e me li rimandavano, ma presto ho dovuto rinunciare a causa dei costi troppo elevati.

I problemi economici non mi hanno mai fermata, l’amore verso l’arte era troppo forte, travolgente.

Da bimba utilizzavo il carboncino, poi sono passata ai colori ad olio: il mio grande amore.

Purtroppo ho dovuto abbandonare questa tecnica a causa di una forte allergia, ma non mi sono persa d’animo e sono passata agli acrilici, che non ho mai abbandonato.

In realtà, non mi interessa il materiale che utilizzo: l’arte è arte, quindi dipingo su tutto ciò che capita, dal legno alla carta e persino sui sassi, perché voglio provare ogni tipo di esperienza.

La mia prima infanzia, a Mandela, è stata felice.

Ho amato questo splendido borgo romano al punto che ancora adesso, prima di andare a dormire chiudo gli occhi e con la mente ripercorro ogni vicolo.

In quel luogo ero felice, ma sono rimasta orfana di mio padre a soli nove anni, quindi io e mia sorella siamo state messe in collegio.

Avrei dovuto continuare a studiare, ma le mie zie si son date un gran da fare per riuscire a trovarmi un impiego.

Sono stata assunta in un grande magazzino di Roma; ho iniziato come commessa e presto i miei superiori hanno notato il mio estro creativo.

È iniziata così la carriera da vetrinista, che mi ha accompagnata per tanti anni.

Ho amato tantissimo questo lavoro, che mi ha portata a viaggiare tra Roma e Milano.

Anche ora ricordo lo sguardo stupito dei bimbi davanti alle vetrine; ero felice quando la gente si fermava a guardarle, per questo motivo non oscuravo i vetri mentre costruivo quei piccoli angoli da sogno.

Nelle opere ho messo tutta me stessa, in ognuna è rimasta una piccola parte di me.

Mio marito mi ha aiutata tanto, soprattutto a trasportare il materiale più pesante e voluminoso.

In autunno recuperavo nei boschi enormi rami con ricci e castagne.

Spesso mi recavo dai contadini per chiedere in prestito del materiale e loro si fidavano.

Promettevo di riportare tutto, assumendomene la piena responsabilità.

Ho creato personaggi in dimensioni reali costruendo “anime” di legno e reti per recinzioni, rifinendoli poi con la carta.

Quanti ricordi…

Come tutte, la mia vita è stata piena di discese e risalite.

Sono felice di ciò che ho realizzato. Sono stata una spugna che si nutre di quella creatività che la natura mi ha dotato e ne vado fiera.

A volte mi chiedo: sarebbe stato meglio concentrarmi su una sola tecnica? In realtà, la sete di conoscenza mi ha portata a disperdere molte energie, eppure mi rispondo che ho fatto bene a seguire l’istinto.

Del resto, come cantava una famosa opera: “Vissi d’arte, vissi d’amore, non feci mai male ad anima viva”.

Articolo di Sara Butera

 

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Maria Giovanna Bernabei

Maria Giovanna Bernabei